Si, sto bene, grazie.
Sto bene come si può stare bene mediamente, con i giorni veloci e quelli lenti. Sto bene perché amo stare bene, perché stare bene fa bene.
Mi hai detto tu che sei scrittrice scrivi sullo stare bene. Potrei fare come Quenau e scrivere tutto un pezzo senza la A o senza la O, e poi scrittori lo siamo di diritto, come santi e navigatori, e anche puttanieri e troie hanno detto quei signori .
Quindi stare bene è un bisogno primario e come tale cerco di soddisfarlo, di tirare righe su parole sbagliate e sogni agitati, penso che domani qualcosa succederà a rimediare un oggi svogliato, e che sono fortunata a non avere malanni, guai, figli degeneri e amori squassanti.
E poi scrittrice. Imbratta fogli, braccia strappate all’agricoltura, direi. Però, ti devo confessare, più passa il tempo più sto ad ascoltare encantada le voci che si rincorrono nella mia testa, sono i personaggi che ballano il fox trot, li ammazzo ogni tanto, poi invece vivono, sto allargando le frasi, c’è un embrione di ben sette cartelle, e mi fa stare bene.
Scrivo nella testa, cancello furiosamente, quando arrivo ad appoggiare le dita sulla tastiera ho già tutto sulla punta della lingua e furiosamente picchio sui tasti, che si spiccino.
L’amore quieto, dei dieci anni passati, mi fa stare bene , perché non ho più l’età e la voglia di correre dietro a bandiere fiammeggianti.
Correrei a Samarcanda, a scrivere con Fois avessi duemilacentocinquanta euro. Ma ci pensi che meraviglia, che stupore, un viaggio laggiù con uno scrittore e quindici imbratta carte, a scrivere sui massi, per terra, là dove passavano le carovane dell’Asia, là dove la Storia diventava bambina.
Sto bene, si.
Grazie